Рождество Христово – Natale – Nasterea Domnului Nostru Isus Hristos

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Кристианская Провославная церковь, Московский Патриархат,

Приход Святых Апостолов Петра и Павла, города Комо, Италия,  via Castelnuovo n.1,  tel. +393899372675

Рождественский Сочельник – Vigilia di Natale – Ajunul Nasterii Domn. Nostru Iisus Hristos

06 января – 2016 г.

16.00 Великое повечерие с Литией Утреня,1 час.

Рождество Христово – Natale – Nasterea Domnului Nostru Isus Hristos

07 января – 2016 г

09.30 Исповедь/Confessione /Marturisirea

10.00 Божественная Литургия/ Divina Liturgia/Sfinta Liturchie
2015

Riunione annuale del clero diocesano

Martedì 8 dicembre si è tenuta a Milano la nostra riunione annuale del clero diocesano, con una settantina di partecipanti in rappresentanza di 67 parrocchie e comunità. Per la prima volta ha presieduto il nostro vescovo Antonio, da poco consacrato.

 

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IL NOME BATTESIMALE

La scelta del nome di battesimo di un cristiano ortodosso è spesso una questione delicata, e lo è già nei paesi di tradizione ortodossa, che tendono a identificare i nomi “cristiani” con quelli che appaiono nel loro calendario locale, o al massimo estendono una certa misura di tolleranza ai nomi presenti nei calendari di altri paesi tradizionalmente ortodossi.

In paesi segnati da un forte pluralismo e dalla compresenza di più usanze ortodosse (come l’Italia) si presentano molte variazioni, e l’approccio da “santi dei paesi tuoi” non funziona più. Occorre uno sforzo di approfondimento dei seguenti punti:

1) Che cos’è il nome battesimale, e da quali fonti si può ricavare.
2) Quali sono le possibili traduzioni e variazioni di un nome.
3) Quali approcci differenti all’onomastica cristiana hanno avuto le Chiese ortodosse locali.

Cerchiamo di esaminare questi punti uno a uno, per farci un’idea di come deve comportarsi il rettore di una parrocchia ortodossa di fronte a genitori ortodossi che presentano un figlio al battesimo, oppure di convertiti alla fede ortodossa che si trovano ad avere un nome (anche battesimale) in qualche modo dissonante da quelli consueti.

IL NOME BATTESIMALE

Il principio generale del nome battesimale, ancora oggi in uso nella maggior parte delle chiese ortodosse, è che ogni nuovo cristiano prende all’ingresso nella Chiesa un nome di un santo o di una santa. Se è un bambino, il nome è scelto dai genitori, mentre ai convertiti adulti è solitamente lasciata una scelta personale.

I santi, ovviamente, sono riconosciuti come tali dalla Chiesa, ma la raccolta di tutti i loro nomi non è un processo univoco. I nomi presenti nella Bibbia sono fissati nelle Scritture, ma i nomi dei santi dall’età apostolica in poi sono generalmente tramandati in base a tradizioni locali. Nella Chiesa antica l’adozione di un nuovo nome era cosa nota (basta ricordare come Gesù stesso cambiò il nome ad alcuni suoi discepoli), ma non universalmente praticata, e così si sono immessi nell’onomastica dei santi cristiani innumerevoli nomi di origine pagana, quand’anche non delle stesse divinità pagane (pensiamo a nomi di santi cristiani come Apollo, Dionisio, Bacco…)

Spesso ci sono molti santi con lo stesso nome, e un cristiano con un certo nome potrebbe non sapere neppure quale santo di quel nome sia il suo vero patrono. Se i genitori hanno seguito le più antiche tradizioni della chiesa dandogli il nome di un santo la cui ricorrenza coincide con la sua data di nascita (o comunque è una data vicina), allora si può risalire al santo patrono semplicemente guardando il calendario in prossimità del proprio compleanno. Altrimenti, un cristiano adulto ha il diritto di scegliere il santo patrono tra tutti quelli di cui condivide il nome.

Dopo il battesimo, il più diffuso e regolare uso del nome battesimale è al momento della comunione, nella quale ogni comunicante si presenta con il proprio nome.

VARIAZIONI DEI NOMI DEI SANTI

I nomi non si mantengono nella stessa forma in tutte le lingue, e da uno stesso nome possono nascere molte variazioni. Pensiamo al nome “Giovanni” e alle sue varianti in varie lingue: Ioannis, Ioann, Ioan, Ivan, Ivano, John, Jovan, Johann, Johannes, Hovhannes, Gian, Gianni, Jean, Juan, João, Ian, Iaian, Sean, Shawn, Shane, Hans, Jan, Evan, Eoin, e così via!

Bisogna tenere presente che i nomi tradotti in altre lingue spesso cambiano completamente forma (Kevin ed Eugenio/Eugenia significano “nobile”, Debora e Melissa significano “ape”, e così via).

Ci sono nomi di santi che sono in realtà numerali ordinali (“Primo”, “Secondo”, e così via), derivati dall’antico uso di chiamare i figli con il loro ordine di nascita (uso comune nell’antichità, e ancora oggi diffuso in alcune parti del mondo). Ci sono nomi derivati da feste: Natale/Natalia/Natalino/Natalina dalla Natività, Stavros/Stavroula dalla Croce, Pasquale/Pasqualino/Pasqualina, Renato/Renata e Anastasio/Anastasia dalla Pasqua. Ci sono anche nomi derivati da virtù cristiane (Speranza, Grazia, Sofia) o da simbologie cristiane (Stella/Asterio/Asteria, Colomba, Agnello).

Una regola di buon senso ci ricorda che, se un nome è ispirato a un santo, allora tutte le varianti, derivazioni e traduzioni di questo nome possono andare bene, purché non siano diminutivi usati come nomignoli (per esempio, “Nino” usato nel senso di “Giovannino”). I diminutivi non sono apprezzati perché sono soprannomi, e non veri nomi. Se invece un nome è la forma contratta di un altro, ma in uso comune come nome e non come diminutivo (in Italia, Nadia è usato al posto dello slavo Nadezhda), la forma abbreviata è accettabile.

Alcuni nomi singoli sono in realtà forme di unione di più nomi: Marianna, Annamaria, Marilena (Maria+Elena), Pierpaolo… di solito questi nomi sono accettabili se uno dei due (meglio ancora entrambi) sono riconducibili a santi ortodossi.

Ci sono forme femminili di nomi maschili di santi, e viceversa. Spesso questi nomi possono apparire in forma alterata. Un paio di esempi: Nicola – Nicole, Nicoletta; Maria – Mario, Mariano.

Ci sono nomi che a una prima impressione non “suonano ortodossi”, ma che sono in realtà forme variate di nomi di santi ortodossi. Ecco una lista di alcuni nomi femminili: Alessandra – Alice; Caterina – Catalina; Teodora/Dorotea – Dora, Dorina; Emilia/Emiliana – Amelia; Elisabetta – Bella, Elsa, Isabella; Elena – Eleonora, Nora; Giovanna – Jacqueline, Jessica; Maria/Miriam – Mariana, Moira; Margherita/Marina – Greta, Perla, Rita.

Altri nomi, similmente non trattati da ortodossi, sono semplici traduzioni di nomi che si ritrovano tra i santi ortodossi, e che vogliono dire la stessa cosa. Eccone alcuni, con le varianti “ortodosse” tra parentesi: Chiara, Clara (Fotina, Svetlana, Lucia), Domenico/Domenica (Ciriaco/Ciriaca), Federico (Ireneo), Francesco (Libero, Eleuterio, Slobodan).

Molti nomi sono invece perfettamente validi come nomi ortodossi, in quanto nomi di santi occidentali precedenti allo scisma. Per nominarne solo alcuni: Alberto, Bernardo, Corrado, Edoardo, Gilberto, Guido, Leonardo, Osvaldo, Riccardo, Roberto, Ugo, Beatrice, Orsola…

Per quanto possa sembrare strano, i due più diffusi nomi musulmani sono accettabili come nomi battesimali ortodossi. Muhammad è il nome di due santi vescovi dell’Arabia pre-musulmana, e Ahmed è il nome di un martire di Costantinopoli.

APPROCCI ORTODOSSI DIFFERENTI

La più antica tradizione cristiana richiede un solo nome di battesimo; la pratica non è più seguita in alcune chiese ortodosse locali, come quella romena.

La pratica della Chiesa russa non vede di buon occhio le assegnazioni di forme maschili di nomi femminili (o viceversa) se non nel monachesimo; nella pratica greca invece questi scambi sono possibili e piuttosto comuni anche tra i laici. Tra i greci (e altri popoli balcanici) sono comuni i nomi battesimali legati al Salvatore (Sotiris, Christos – accentato sulla prima sillaba – e Kyriakos) oppure alla Madre di Dio (Panaghia/Panaghiotis); i russi trovano queste assegnazioni inaccettabili, e solitamente le donne russe di nome Maria non hanno come patrona la santa Vergine, ma altre sante con lo stesso nome (Maria di Betania, Maria Egiziaca o altre).

Nella tradizione russa i santi dell’Antico Testamento sono quasi esclusivamente riservati ai nomi monastici, ed è raro trovare nomi veterotestamentari al di fuori dei monasteri, con qualche piccola eccezione, tra cui Elia (Ilya), nome piuttosto diffuso.

Un altro costume assolutamente singolare è quello della Slava serba: la venerazione di un santo patrono di famiglia, immutabile nei secoli. Nella tradizione serba è il santo della Slava che conta, mentre al battesimo può essere dato un nome del tutto estraneo alla tradizione cristiana (questo spiega perché gli ortodossi di tradizione serba non battano ciglio alla presentazione in chiesa di fedeli come il ministro dell’agricoltura montenegrino, Tarzan Milošević…)

Generalmente, sia che un nome “estraneo” alla tradizione cristiana ortodossa si mantenga dopo il battesimo oppure no, tale nome può diventare un nome del calendario dopo che il portatore (o la portatrice) entra a far parte dei santi con la canonizzazione da parte della Chiesa.

ALCUNE NOTE PASTORALI

Chi entra nella Chiesa ortodossa in età adulta e ha già il nome di un santo del calendario non dovrebbe prendere un nome nuovo. A maggior ragione, i preti che ammettono un convertito adulto non dovrebbero incoraggiare cambi in nomi più “esotici” che esulano dalla sua storia personale. Entrare nella Chiesa è una questione di cambiamento di vita, non di cambiamento di identità! Di contro, può esserci un fedele che ammira particolarmente un certo santo, e desidera sinceramente prenderne il nome nell’Ortodossia. Qui si deve valutare se il santo è stato davvero un fattore determinante dell’ingresso nella Chiesa, tale da essere considerato davvero “patrono della conversione”; se viceversa il santo è stato solo un esempio tra molti, il prete può suggerire altri modi di venerarlo (far dipingere la sua icona, tenere questa icona nell’angolo di preghiera, diffondere la conoscenza della sua vita…), che non comportano necessariamente prenderne il nome.

Alcuni convertiti all’Ortodossia cambiano il loro nome (o viene loro detto di cambiarlo) non per crisi di identità, ma per mera ignoranza. Se l’ignoranza di un convertito (o di una coppia di genitori disinformati) è fino a un certo punto scusabile, lo è molto di meno quella di un prete! Ricordo che nell’anno della mia ordinazione presbiterale (1997), lo ieromonaco Aidan Keller pubblicava a Austin (Texas, USA) una edizione del Saint Hilarion Calendar con oltre 12.000 nomi di santi, tra cui una lista di santi ortodossi occidentali presi dal Martirologio Romano, dal Martirologio di Sarum e da altre fonti antiche. A distanza di quindici anni da quell’opera, le ricerche si sono espanse, e oggi è possibile avere riscontri (anche in rete) di migliaia di possibili nomi di santi ortodossi. Rifiutare un nome perché “non è ortodosso” deve essere un’opzione permessa a un prete solo dopo una seria ricerca.

Chi ha un doppio nome, di cui uno riconducibile a un santo ortodosso, può mantenere quest’ultimo come nome ortodosso. Questo è uno dei casi più semplici.

Può capitare, infine, che una persona sia stata battezzata nella Chiesa ortodossa con un nome del tutto non cristiano (come può capitare nella Chiesa serba, dove il nome battesimale è del tutto secondario rispetto al nome della Slava), oppure con un nome presente negli usi dei paesi cristiani, ma adespotico (“senza patrono”), come Gelsomina, o le sue varianti Jasmina o Iasmina (si tenga presente che i veri nomi adespotici di tradizione cristiana sono estremamente rari!) In questi casi, il prete di una chiesa che ha una tradizione rigorosa nell’imporre i nomi di santi può scegliere tra insistere nella propria usanza e assegnare un nome addizionale per l’uso nella Chiesa, oppure continuare a usare il nome precedente (che è comunque un nome battesimale!) e indicare al fedele di celebrare il proprio patrono in occasione della Domenica di Tutti i Santi.

MATRIMONIO, FIDANZAMENTO, INCORONAZIONE

matrimonio ortodosso

Se state leggendo questo testo, è perché vi interessa la pratica del matrimonio nella Chiesa Ortodossa. Forse volete sposarvi in chiesa; forse vi hanno chiesto di fare da testimoni, oppure di partecipare alla celebrazione di un matrimonio. Qui di seguito troverete spiegazioni sul rito del matrimonio e sul suo significato.

MATRIMONIO, FIDANZAMENTO, INCORONAZIONE

Il rito matrimoniale ortodosso è composto da due funzioni, un tempo separate, e oggi fuse in un’unica celebrazione. La prima, il fidanzamento (in slavonico obručènie, in romeno logodna), è la solennizzazione delle promesse di matrimonio; la seconda, che potremmo definire il matrimonio vero e proprio, è chiamata nella tradizione ortodossa incoronazione (in slavonicovenčànie, in romeno cununie), un nome che viene dalle corone poste sul capo degli sposi.

In altri tempi e in altre società, i matrimoni erano organizzati tramite accordi tra le famiglie degli sposi, e spesso erano programmati quando i futuri sposi erano ancora in età molto giovane (adolescenti, o addirittura preadolescenti). In tali casi si capiva un desiderio di solennizzare le promesse di matrimonio con un appropriato rito di fidanzamento, in modo da annunciare a tutta la comunità dei credenti che due giovani erano promessi l’uno all’altra, anche se ancora il loro matrimonio non era stato celebrato.

Oggi ci si sposa per lo più di propria iniziativa e con il partner di propria scelta, e quindi non ha più senso celebrare in chiesa un fidanzamento separato dal matrimonio: ecco perché le funzioni del fidanzamento e dell’incoronazione sono fuse in una sola celebrazione. Tuttavia, vale la pena ricordare come gli stessi libri delle funzioni ancora prevedono la possibilità che il fidanzamento e il matrimonio siano celebrati in due occasioni distinte.

UN PO’ DI TEOLOGIA DEL MATRIMONIO

Il sacramento – o per usare la terminologia ortodossa, il santo mistero – del matrimonio non pretende di unire legalmente un uomo e una donna. Piuttosto, è il riconoscimento da parte della Chiesa dell’unione che Dio ha già operato nelle vite degli sposi: è l’ingresso, in modo misterioso, dell’unione umana degli sposi (in quanto unione terrena, soggetta al peccato, al dolore e alla morte) nella dimensione divina del Regno di Dio.

L’unione del matrimonio cristiano riapre la possibilità del primo progetto matrimoniale dell’Eden: attraverso la compagnia di esseri complementari, la realizzazione nella loro vita di un’eternità di gioia.

Per questo il matrimonio ortodosso va al di là di un accordo legale. Nel corso del rito, gli sposi non scambiano voti nuziali: attraverso la loro presenza (e quella dei loro testimoni a garanzia della loro libera scelta) si realizza l’impegno tra i due e l’apertura all’azione di Dio nella loro unione.

Anche se la Chiesa è condiscendente verso i vedovi che si risposano perché non vogliono vivere soli, il matrimonio non è visto come un unione degli sposi “finché la morte non li separi”. Di fatto, dato che l’unione entra nella dimensione del Regno di Dio, ne assume anche i caratteri di eternità. Per questo, invece di parlare di matrimonio indissolubile come fa la teologia romano-cattolica, la teologia ortodossa parla di matrimonio unico e irripetibile: si può anzi dire che per gli ortodossi esiste un solo vero matrimonio sacramentale nella vita, mentre i successivi matrimoni (sia quello dei vedovi, sia in altri casi in cui la Chiesa autorizza un secondo matrimonio quando il primo è, dal punto di vista umano, irrimediabilmente fallito) sono visti come una misura di indulgenza, con una benedizione ecclesiale che reintegra i nuovi sposi nella vita della comunità dei credenti.

Proprio perché propone con il matrimonio una nuova “dimensione divina” alla vita della coppia, la Chiesa Ortodossa non condanna le unioni umane. Il suo compito non è di determinare se le coppie che non sono sposate in chiesa vivano più o meno “nel peccato” (in senso lato, si può dire che chiunque non vive secondo la grazia e la volontà di Dio vive nel peccato, che sia sposato con rito religioso oppure no); piuttosto, il suo compito è chiamare tutte le coppie a passare dall’unione umana alla partecipazione alla vita divina offerta attraverso il mistero del matrimonio.

I TESTIMONI

Gli sposi sono accompagnati al matrimonio da due amici (nella terminologia greca, i paraninfi, che potremmo tradurre come “amici degli sposi”), che hanno un compito molto importante nel rito: quello di testimoniare, con la loro presenza, la libertà del legame matrimoniale, sia per la libera scelta personale (assenza di costrizioni, minacce o altre condizioni che rendono nullo il matrimonio), sia per la mancanza di altri legami (matrimoni o fidanzamenti precedenti il cui effetto non sia stato riconosciuto come terminato dalla Chiesa). Per questo, è importante che i testimoni conoscano bene gli sposi.

Nel corso del tempo si sono stabiliti diversi costumi locali, e i testimoni sono venuti sempre di più a somigliare ai padrini del battesimo (in lingua romena, si usa lo stesso termine, nănaş, per indicare entrambi i ruoli): oggi i testimoni sono quasi sempre un uomo e una donna, per consuetudine marito e moglie. In tal modo, la coppia dei testimoni prende il compito di guidare la coppia più giovane nella loro vita matrimoniale.

Per quanto questa usanza sia bella e nobile, bisogna sottolineare che i testimoni NON hanno il ruolo di padrini o di guide; il loro compito è, appunto, quello di testimoniare la libertà del matrimonio, e tutto ciò che vogliono essere o fare in più per gli sposi non è un compito richiesto dalla Chiesa.

Per questo, ricordiamo quanto segue:

1. Non è obbligatorio che i testimoni siano sposati. Non è neppure obbligatorio che siano un uomo e una donna: per la Chiesa sono regolari i matrimoni che hanno due uomini, oppure due donne, come testimoni.

2. Non è obbligatorio che i testimoni siano cristiani ortodossi. Non è la fede o l’appartenenza dei testimoni alla Chiesa che è richiesta nel matrimonio (come invece è richiesta per i padrini di battesimo), ma la loro sincera conoscenza degli sposi. In altre parole, meglio un vero amico non ortodosso (o in caso estremo, addirittura non cristiano) piuttosto che un membro della Chiesa che non conosce gli sposi. Oggi c’è chi insiste che i testimoni siano cristiani ortodossi, ma chi sostiene queste cose dovrà spiegare perché la Chiesa, che permette che uno degli sposi sia un cristiano non ortodosso, dovrebbe essere più rigorosa con i testimoni che non con gli sposi stessi!

3. La Chiesa non chiede niente ai testimoni, dopo che hanno fatto il loro dovere al matrimonio. I testimoni non sono obbligati a fare da padrini di battesimo ai figli della coppia (anche se questo succede spesso nella pratica), né hanno altri doveri specifici: ogni vicinanza o aiuto agli sposi viene dalla libertà del loro ruolo di amici.

I MATRIMONI MISTI

Fino a un certo punto, nella storia cristiana, la Chiesa si è rifiutata di benedire i matrimoni in cui uno dei due coniugi non apparteneva, per fede e battesimo, ai propri fedeli.

Con la mobilità sociale degli ultimi secoli, tuttavia, sono aumentate sempre di più le coppie miste, e anche la Chiesa ha esteso gradualmente l’unione del matrimonio a queste coppie, anche se con una certa prudenza.

Per quanto riguarda la Chiesa russa, i primi casi di matrimoni ortodossi per coppie miste furono concessi nel XVIII secolo ai prigionieri di guerra svedesi, che avevano preso mogli russe ed erano sprovvisti dei propri pastori.

Oggi è possibile un matrimonio misto di fedeli della Chiesa Ortodossa con fedeli battezzati di chiese cristiane non ortodosse (incluse le denominazioni più recenti, come avventisti e pentecostali, ma esclusi i nuovi movimenti di matrice cristiana come mormoni e testimoni di Geova). Non si può invece celebrare un matrimonio misto con non battezzati (atei o di altre religioni): il principio di tale esclusione è che è inverosimile che una persona che non crede in Cristo e non appartiene alla sua Chiesa (nemmeno in  una forma eterodossa) possa onestamente assumersi il compito di vivere la vita di un coniuge cristiano secondo la fede della Chiesa.

Anche se i matrimoni misti sono possibili, la Chiesa incoraggia sempre i propri membri a cercare coniugi della loro stessa fede, soprattutto se entrambi sono credenti impegnati. L’impegno dei cristiani ortodossi non è semplice, e passare la propria vita accanto a una persona che non condivide questo cammino aggiunge complessità a uno sforzo non indifferente.

A seconda dei casi, soprattutto quando i coniugi non sono al primo matrimonio, può essere necessaria la benedizione del vescovo prima di procedere a un matrimonio misto.

IL RITO DEL FIDANZAMENTO

Vediamo dunque come si svolge un rito nuziale in una Chiesa Ortodossa di oggi. La prima parte, il rito del fidanzamento, si svolge nel nartece (vestibolo) della chiesa: se la chiesa non ha un nartece o un portico interno, è consuetudine fare il fidanzamento alle porte della chiesa, per indicare l’ingresso nella vita matrimoniale (anche nel rito del battesimo, le preghiere esorcistiche e le dichiarazioni di fede si fanno nel nartece, per la stessa ragione). Gli sposi avanzano affiancati dai testimoni, lo sposo si tiene sulla destra e la sposa sulla sinistra: sono le posizioni tenute per consuetudine dagli uomini e dalle donne nella chiesa, che si possono ricordare facilmente guardando la disposizione delle icone centrali di Cristo e della Madre di Dio.

Il prete che celebra il matrimonio benedice gli sposi, consegna loro ceri accesi, e li incensa. Inizia quindi il rito del fidanzamento,  composto da preghiere, litanie e dallo scambio degli anelli, che simbolizza lo scambio delle promesse di fedeltà.

Gli anelli erano anticamente d’oro (per lo sposo) e d’argento (per la sposa), ma oggi sono più usate le coppie di anelli fatte dello stesso materiale (talvolta anche meno prezioso). Prima del rito del fidanzamento, gli anelli sono benedetti con l’aspersione di acqua santa, e poggiati sopra la tavola dell’altare. Volendo, si possono portare gli anelli in chiesa un certo tempo prima della funzione nuziale, e tenerli sulla tavola dell’altare durante la celebrazione della Divina Liturgia.

Il simbolismo degli anelli (un cerchio che non ha fine, così come le promesse degli sposi non hanno termine né condizioni) è spiegato nelle preghiere del rito, quando si ricordano gli anelli donati in vari episodi biblici come segni di fedeltà, di fiducia, di responsabilità e di misericordia divina.

La formula del fidanzamento, che secondo alcuni usi si ripete per tre volte, è la seguente: Il servo di Dio (nome) riceve per fidanzata la serva di Dio (nome), nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito, amen. Allo stesso modo, la formula si ripete per la sposa: La serva di Dio (nome) riceve per fidanzato il servo di Dio (nome), nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito, amen.

Il prete mette l’anello al dito anulare della mano destra degli sposi. La mano destra (con cui un cristiano fa il segno della croce) è usata come sede degli anelli nella tradizione cristiana più antica, e anche in quella ebraica, da cui provengono molti usi del matrimonio ortodosso. La pratica del cattolicesimo romano, che ha differenziato gli anelli di fidanzamento da quelli di matrimonio (mentre nella Chiesa Ortodossa non c’è questa distinzione), ha portato in alcuni usi a passare gli anelli alla mano sinistra. Se gli sposi, per costume locale, desiderano portare i loro anelli alla mano sinistra dopo la fine del rito nuziale, non c’è alcun serio problema.

Gli anelli, appena messi al dito degli sposi, sono scambiati per tre volte (dal prete stesso o dai testimoni, a seconda degli usi). Lo scambio degli anelli esprime il continuo scambio tra gli sposi, che come figure complementari si arricchiscono a vicenda.

Se al rito del fidanzamento segue subito l’incoronazione (vale a dire, oggi, nella stragrande maggioranza dei casi), sposi e testimoni procedono verso il centro della chiesa, dove è preparato un tavolo con le corone nuziali. Durante l’ingresso della coppia, il coro canta i versi del Salmo 127, intervallati dal ritornello “Gloria a te, Dio nostro, gloria a te”.

IL RITO DELL’INCORONAZIONE

Entrati al centro della chiesa, gli sposi vanno a stare sopra un tappeto preparato appositamente per loro (può essere un telo ricamato con motivi matrimoniali, come si usa preparare in Russia, oppure un semplice tappetino largo abbastanza per accomodare i due sposi). Questo tappeto, il cui uso proviene dall’antico matrimonio ebraico, simbolizza la dimensione sulla quale gli sposi hanno un dominio riconosciuto dalla Chiesa: la gestione della loro vita comune, la crescita dei figli, la dimora familiare.

Il prete inizia il rito dell’incoronazione con tre preghiere nelle quali si chiede la grazia di Dio per gli sposi: la grazia che trasforma la loro unione umana in un’unione guidata dallo Spirito santo (proprio come nella Divina Liturgia il prete prega per la discesa dello Spirito santo sul pane e sul vino, perché si trasformino nel corpo e nel sangue di Cristo).

Le mani degli sposi sono unite dal prete, e secondo gli usi sono legate assieme con un nastro o con un velo. Quindi il prete pone sul capo degli sposi le corone, segno di regalità (la Chiesa concede agli sposi di essere i sovrani della loro vita familiare, come compartecipi della regalità di Cristo stesso), e anche di perfezionamento: gli sposi diventano “corona” l’uno dell’altra, un completamento dell’immagine divina, uno strumento potenziale di salvezza l’uno per l’altra, come ricordato anche da san Paolo nel capitolo 7 della prima Lettera ai Corinzi. La corona è pure segno di martirio, ovvero di testimonianza di fede “nella buona e nella cattiva sorte”, che giunge fino al sacrificio della vita. Il mistero del matrimonio richiede la volontà di morire a se stessi, al proprio tornaconto personale, per sapersi donare all’altro per tutta la vita.

La formula dell’incoronazione, che secondo alcuni usi si ripete per tre volte, è la seguente: Il servo di Dio (nome) riceve come corona la serva di Dio (nome), nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito, amen. Allo stesso modo, la formula si ripete per la sposa: La serva di Dio (nome) riceve come corona il servo di Dio (nome), nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito, amen.

Le corone, appena poste sul capo degli sposi, sono scambiate per tre volte (dal prete stesso o dai testimoni, a seconda degli usi), mentre il coro canta: Signore Dio nostro, coronali di gloria e d’onore.

LE LETTURE

Le due letture bibliche associate al matrimonio sono prese dalla Lettera di san Paolo agli Efesini e dal Vangelo di Giovanni.

San Paolo ricorda ai primi cristiani di Efeso (ma anche ai cristiani di tutti i tempi e luoghi) i doveri reciproci degli sposi, facendo un parallelo tra l’amore del marito e della moglie con quello di Cristo e della sua Chiesa. Come Cristo ama la sua Chiesa al punto di donarsi totalmente per lei, fino al sacrificio supremo, così il marito deve donarsi totalmente alla moglie. Come la Chiesa, a sua volta, è sottomessa a Cristo, così la moglie deve sottomettersi al marito. Se in ogni momento della vita matrimoniale si segue questo modello, i matrimoni non falliscono! La moglie, lasciando l’ultima parola al marito, impara a dominare il suo desiderio istintivo di protezione della famiglia nei momenti di conflitto di volontà (che di solito non hanno molto a che fare con l’immediata sopravvivenza dei figli e della famiglia); il marito, ricordando la necessità di sacrificarsi per il bene della moglie e dei figli, fa sì che l’ultima decisione a lui lasciata non sia per i propri interessi personali, ma per quelli del nucleo familiare.

Il Vangelo di Giovanni parla del primo segno miracoloso fatto da Gesù alle nozze di Cana, dove l’acqua trasformata in vino (e in vino di qualità!) è il modello della trasformazione dell’unione umana in un’unione divina, attraverso la grazia del Signore. La coppia non è più una semplice istituzione umana, ma un segno, come la Chiesa stessa, del Regno di Dio già presente in mezzo a noi.

CONCLUSIONE DEL RITO

Dopo ulteriori preghiere e litanie, il prete benedice una coppa di vino: da questa coppa bevono gli sposi, in segno della loro partecipazione comune di tutta la vita, in ogni suo aspetto di gioia o di dolore. La coppa di vino viene direttamente dall’uso del matrimonio ebraico, e non ha alcuna connessione con il vino del mistero eucaristico.

Il prete conduce quindi gli sposi in una triplice processione attorno al centro della chiesa, mentre il coro canta alcuni tropari (inni della tradizione ortodossa) che parlano di temi collegati simbolicamente al matrimonio. Durante il canto dei tropari, è uso che i testimoni seguano gli sposi, eventualmente reggendo le corone sul loro capo.

Il canto dei tropari proviene dall’antico uso di accompagnare gli sposi in processione con canti, dopo il matrimonio, dalla porta della chiesa alla porta di casa della nuova coppia. Nel tempo questa usanza pubblica è stata abbandonata, i canti ecclesiali sono stati trasferiti a questo punto della fine della celebrazione, e la processione è divenuta un episodio interno del rito matrimoniale.

Al termine della processione il prete scioglie le mani degli sposi, e ripone le corone sul tavolo. Nelle preghiere finali che seguono, il prete chiede a Dio di custodire le corone senza macchia nel suo regno: un segno dell’eredita che attende gli sposi cresciuti nell’amore e nella fedeltà, che hanno portato frutti spirituali nel loro matrimonio.

Dopo la benedizione finale, seguono secondo gli usi una serie di segni e di auguri: la venerazione delle icone in centro alla chiesa (oppure sull’iconostasi), l’augurio di molti anni alla nuova coppia, un’esortazione del prete agli sposi a mantenere nella propria vita la grazia ricevuta da Dio. Nel caso di matrimoni misti, anche un ministro di culto non ortodosso può avere a questo punto uno spazio per rivolgersi agli sposi e offrire loro una parola di incoraggiamento e di istruzione.

I SECONDI MATRIMONI

La Chiesa Ortodossa mantiene uno standard molto elevato nel modello di vita di coppia, ma riconosce che i legami matrimoniali hanno termine, o per ragioni di forza maggiore (come la morte di uno dei coniugi) o per diversi livelli di colpa umana (abbandono, infedeltà e altre cause che riducono il matrimonio a una mera finzione). In questi casi, la Chiesa permette (nel caso di vedovanza, sempre, e negli altri casi, con la benedizione scritta del vescovo nella cui diocesi è stato celebrato il matrimonio) di fare un secondo matrimonio religioso. Ne tollera anche un terzo (seppur vivamente sconsigliato), mentre ne vieta assolutamente un quarto.

Esiste un rito delle seconde nozze, di carattere penitenziale, nel quale si vede chiaramente come la Chiesa permette i secondi matrimoni come un rimedio a situazioni personali ancora più sconvenienti. Oggi si usa il rito delle seconde nozze solo se entrambi gli sposi sono già stati incoronati in precedenza: è una forma di rispetto per un coniuge che sia invece alla sua prima esperienza di matrimonio. Di conseguenza, può essere raro veder celebrare questa forma di rito nuziale.

LA PREGHIERA DEL RIENTRO DEGLI SPOSI

Una preghiera annessa al rito matrimoniale, oggi raramente usata, li accoglie al loro rientro in chiesa dopo i festeggiamenti nuziali. Non è male continuare a proporre questa preghiera, che può essere un adeguato “rito di passaggio” dopo un viaggio di nozze, per far ritornare la coppia appena sposata a un ruolo attivo nella comunità locale dei fedeli.

PROBLEMI E DIFFICOLTÀ

Spesso un matrimonio in chiesa comporta diverse difficoltà pratiche, sia in relazione al matrimonio civile, sia alla presenza di precedenti legami matrimoniali. Questa guida non può pretendere di dare una risposta generale a tutti i problemi, ma qui di seguito offriamo alcuni elementi di riflessione.

Se gli sposi non sono uniti in matrimonio civile, bisogna che questo sia fatto o prima del matrimonio in chiesa, o contestualmente al matrimonio religioso. È possibile fare un matrimonio ortodosso con effetto civile, ma solo se il prete che lo celebra è un ministro di culto riconosciuto dallo stato. Per questo, bisogna informarsi bene presso la chiesa in cui ci si vuole sposare (meglio ancora, si dovrebbe frequentare assiduamente quella chiesa!)

Se c’è stato un precedente matrimonio in chiesa di un coniuge ortodosso, occorre la benedizione del vescovo nella cui diocesi è stato celebrato il matrimonio precedente. Se invece il precedente matrimonio religioso lo ha contratto un coniuge non ortodosso, allora questa persona deve essere dichiarata libera di risposarsi secondo le regole della sua Chiesa di appartenenza. Se detta Chiesa non lo ritiene libero, la Chiesa Ortodossa non può intervenire a riguardo. Le conversioni alla Chiesa Ortodossa per aggirare questo ostacolo – ancorché possibili – non sono viste con favore.

Se ci sono stati precedenti matrimoni civili, non ci sono obiezioni a un matrimonio in chiesa, ma tutti i legami di un precedente matrimonio civile devono essere sciolti, così come deve essere risolta qualsiasi disputa (affidamento dei figli, e così via) legata a tale matrimonio.

Il matrimonio non preclude una scelta futura del marito o della moglie di abbracciare la vita monastica, ma una simile scelta può essere fatta solo con il consenso di entrambi i coniugi, e può essere accettata solo se i genitori non hanno (o non hanno più) la responsabilità della crescita di figli minorenni. In tali casi il matrimonio è sospeso dalle autorità della Chiesa, e il marito o la moglie (o ancor meglio, entrambi) possono ricevere la tonsura monastica.

I GIORNI “GIUSTI” PER IL MATRIMONIO

“In quali giorni ci si può sposare?”

Questa semplice domanda ha risposte complesse (e talvolta diverse), con lunghe liste di “giorni in cui il matrimonio in chiesa è vietato”, per cui proviamo a capire le ragioni che hanno portato ad avere giorni inadatti ai riti nuziali.

I problemi dei giorni di digiuno e di festa

Il matrimonio non è solitamente visto come semplice cerimonia per lo stretto gruppo degli sposi e dei testimoni, ma come il riconoscimento pubblico di un legame, che mette insieme le famiglie e gli amici, in un’atmosfera allegra e festosa. I giorni di digiuno non sono momenti adatti a questo tipo di celebrazione, per cui la Chiesa ortodossa vieta i matrimoni in questi giorni – nel caso dei periodi lunghi di digiuno come la grande Quaresima – o alla vigilia dei giorni singoli di digiuno. Può sembrare strano che il matrimonio sia vietato alla vigilia di un giorno singolo di digiuno (al martedì e al giovedì), ma sia invece permesso nel giorno stesso (al mercoledì e al venerdì). La ragione va cercata nella tradizione di fare i banchetti che durano tutta la notte, e anche nell’idea di non “consumare” la prima notte di nozze all’alba di un digiuno.

Anche nei giorni delle più grandi feste non si celebrano matrimoni, per non distogliere l’attenzione dalle feste della Chiesa. Spesso anche i giorni dopo le grandi feste (per esempio, i giorni tra il Natale e l’Epifania) sono preclusi ai matrimoni. Non tutte le Chiese ortodosse seguono gli stessi regolamenti sui periodi dopo le feste: in alcune può capitare di sentire che non si fanno i matrimoni nella settimana dopo la Pasqua (o Settimana Luminosa), in altre si può sentire che i matrimoni sono vietati per tutti i quaranta giorni dopo la Pasqua. In ogni caso è bene consultare la chiesa in cui ci si vuole sposare, dove possono anche esserci differenze riguardo al calendario che si segue.

Il problema del sabato

I matrimoni sono vietati anche il sabato, anche se abitualmente non si tratta di un giorno di digiuno, né di vigilia di un digiuno. La ragione di questo divieto è di ordine pastorale: la partecipazione di numerosi gruppi di persone ai festeggiamenti matrimoniali al sabato sera svuota (o comunque svilisce) la partecipazione in chiesa alla domenica. Anche se questo divieto è considerato piuttosto duro (soprattutto per le famiglie che hanno il sabato libero da impegni di lavoro), è una norma di assoluto buon senso, e oggi (soprattutto nella Chiesa russa) si segue ancora con rigore.

Bisogna ricordare che i divieti di celebrazione del matrimonio non sono divieti assoluti, e si possono ottenere eccezioni: sempre, però, per benedizione del vescovo del luogo. Il prete che celebra un matrimonio non ha il diritto di fare un’eccezione senza motivarla al suo vescovo, e senza avere avuto il suo permesso.

CHE COSA SIGNIFICA “BATTESIMO”?

battesimo ortodosso ad Auckland

Se state leggendo questo testo, è perché vi interessa la pratica del battesimo nella Chiesa Ortodossa. Forse volete far battezzare uno dei vostri figli; forse vi hanno chiesto di fare da padrini, oppure di partecipare alla celebrazione di un battesimo. Qui di seguito troverete spiegazioni sul rito del battesimo e sul suo significato.

CHE COSA SIGNIFICA “BATTESIMO”?

La parola “battesimo” deriva dal greco baptismòs, che vuol dire immersione: il segno con il quale entriamo a far parte della Chiesa di Cristo è l’immersione nell’acqua.

Il gesto dell’immersione nell’acqua non è una “invenzione” cristiana: la fede cristiana lo ha preso dalle forme di immersione (purificazioni rituali) praticate nell’antica religione ebraica, e soprattutto dal momento in cui Cristo è stato immerso da Giovanni Battista nelle acque del fiume Giordano.

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Il simbolismo generale dell’immersione e dell’emersione dall’acqua è quello della morte e della risurrezione. Quando ci immergiamo nell’acqua “moriamo” alla vita della superficie (e di fatto, se restiamo immersi per lungo tempo, possiamo morire in un senso molto pratico… un segno molto tangibile di sepoltura); quando invece riemergiamo dall’acqua, questo gesto è come la rinascita a una vita nuova.

Attraverso il battesimo, i cristiani ortodossi indicano la loro partecipazione, in un modo misterioso, alla morte e alla risurrezione di Cristo, che ci donano la vita.

L’immersione nell’acqua oggi non è più praticata nella maggioranza delle chiese cristiane dell’occidente, che hanno sostituito il gesto dell’immersione con un “lavaggio” simbolico. Questo ha fatto perdere il nesso logico tra il gesto principale del battesimo e il suo significato: diventare partecipi della vita che Cristo ci dona attraverso la sua morte e risurrezione.

Certo, non sempre è possibile immergere una persona nell’acqua: nella storia della Chiesa Ortodossa, sono stati soprattutto i malati e i carcerati a essere “battezzati” versando acqua sul loro capo (talvolta – raccontano gli atti dei primi martiri cristiani – i prigionieri erano lavati con acqua sulle mani o sui piedi, che erano le uniche parti del corpo che potevano spingere fuori dalle loro celle…). Anche queste forme di “immersione senza immersione”, in situazioni di emergenza, sono accettate dalla Chiesa. Tuttavia, quando è possibile, è molto importante che il gesto che ci immette nella comunità dei cristiani sia un gesto che ci aiuta a capire la nostra partecipazione alla morte e resurrezione di Cristo.

I PADRINI

Chi porta i propri figli al battesimo sa che deve scegliere almeno una persona, un uomo (padrino) oppure una donna (madrina) come speciale testimone e garante del battesimo: le regole della Chiesa richiedono almeno un padrino oppure una madrina (di solito dello stesso sesso della persona da battezzare); oggi in molte chiese è uso avere due padrini, abitualmente un uomo e una donna.

L’istituzione dei padrini è molto antica: quando i primi cristiani erano perseguitati, era importante per un nuovo cristiano avere un garante della propria serietà, e una guida che poteva trasmettere l’esperienza della vita cristiana con il suo esempio e la sua vicinanza. Anche oggi, la Chiesa insiste sul ruolo di guida dei padrini, e chiede che un padrino o una madrina prenda la responsabilità di seguire la vita dei bambini nella Chiesa. Per questo, è necessario che i padrini siano cristiani ortodossi: non si può onestamente chiedere a una persona di seguire la vita spirituale di un altro cristiano in una Chiesa e in una fede che non è la sua!

Molti desiderano presentare come padrini più di due persone, o “compari” di battesimo: in questo caso, la Chiesa Ortodossa permette che nel numero di questi padrini “supplementari” ci siano anche dei cristiani non ortodossi, ma insiste sul fatto che i padrini “principali” (uno o due, a seconda dei casi) siano cristiani ortodossi, e si prendano la piena responsabilità del loro ruolo di guida nella fede.

Capita spesso che si chieda di considerare come padrini persone che non sono presenti al battesimo (per esempio, amici molto cari che vivono in un altro paese). Questo può essere motivato da particolari legami di famiglia o di amicizia. In tali casi, la Chiesa richiede comunque la presenza di uno o due padrini ortodossi (che si possono considerare “rappresentanti” dei padrini assenti). In ogni caso, è bene che un bambino possa contare sulla presenza dei propri padrini, oltre che sulla loro amicizia, perché non è facile seguire la vita spirituale di una persona che vive lontano.

IL BATTESIMO DEI PRIMI CRISTIANI

Nei primi secoli della Chiesa, quando la vita dei cristiani era sottoposta a difficoltà e persecuzioni, e anche in seguito, quando la maggior parte degli abitanti dell’Impero romano entrò a far parte della Chiesa, si richiedeva una lunga preparazione al battesimo.

Il tempo preferito per i battesimi, in quei secoli, era la festa della Pasqua, in cui venivano al battesimo i nuovi convertiti assieme a tutte le loro famiglie: in questa occasione, si sottolineava il legame tra il battesimo e la risurrezione del Signore. Nei quaranta giorni prima della Pasqua si facevano le preghiere che segnavano il desiderio di cambiamento di vita per i nuovi cristiani (il rifiuto del diavolo e delle sue tentazioni, l’unione con Cristo in una nuova vita). Questo periodo di quaranta giorni si è evoluto nella Grande Quaresima, in cui tutti i cristiani ortodossi si preparano, con il digiuno e con lunghe preghiere, alla Pasqua.

Oggi in molti paesi i cristiani sono la maggioranza, e non si battezza più solo nella festa della Pasqua, o in altre feste importanti dell’anno liturgico, ma in tutti i giorni: in una società già cristiana, i nuovi battezzati sono quasi sempre bambini piccoli, per i quali non è così importante aspettare una festa particolare: anzi, la Chiesa insegna che è bene portare i bambini al battesimo appena è possibile portarli fuori di casa senza rischi per la loro salute.

I riti battesimali risalgono a tempi in cui i nuovi cristiani erano in maggioranza adulti; oggi la maggior parte dei nuovi battezzati è costituita da bambini, ma in certi casi si assiste a una vera rinascita di battesimi di massa di adulti: per esempio in Russia, dopo che sono state riaperte le chiese distrutte dal regime comunista.

PERCHÉ SI BATTEZZANO I BAMBINI?

Il battesimo dei bambini è una pratica tradizionale della Chiesa Ortodossa. In occidente, molte denominazioni protestanti hanno cambiato questa pratica secolare, sostenendo che si devono battezzare persone adulte, o almeno consapevoli. Questa innovazione si basa sul fatto che nel testo della Bibbia non ci sono riferimenti diretti al battesimo di bambini piccoli: è vero, però, che il Nuovo Testamento parla dei battesimi dei primi convertiti “con tutte le loro famiglie”, dove per “famiglie” si usa la parola che indica “tutti quelli che vivono sotto lo stesso tetto”, inclusi quindi i bambini.

C’è anche un altro precedente storico: il bagno rituale di purificazione (mikvà) che dovevano fare tutti i convertiti all’ebraismo. Anche ai tempi di Gesù, tutti quelli che provenivano dal paganesimo e desideravano entrare a far parte del popolo di Israele, dovevano fare un’immersione rituale: questa si praticava per tutti i membri della famiglia, inclusi i bambini di ogni età. Dato che i primi cristiani vedevano il battesimo come l’ingresso nel nuovo Israele che è la Chiesa di Cristo, era del tutto naturale che vi entrassero assieme a tutti i membri delle loro famiglie.

Se comprendiamo il battesimo come la nostra partecipazione alla vita salvifica di Cristo che ci viene attraverso la sua morte e risurrezione, vediamo che questa partecipazione è possibile a tutti, perché Dio non ha certamente bisogno dell’invito cosciente di un adulto per donare la sua grazia.

La scelta cosciente e adulta di seguire Cristo è certamente importante, ed è per questo che i padrini devono seguire i battezzati fino all’età in cui essi stessi possono diventare membri della Chiesa consapevoli e attivi.

IL RITO DEI CATECUMENI

Vediamo dunque come si svolge un battesimo in una chiesa ortodossa di oggi. La prima parte del rito battesimale prende il nome di “rito dei catecumeni”. “Catecumeni” sono quelli che si preparano al battesimo attraverso un cammino di apprendimento, la catechesi (in greco, catechesi significa “risposta alle domande”).

Il rito dei catecumeni si svolge alle porte della chiesa: infatti, simbolicamente, il battesimo è la “porta” che ci fa entrare nella vita della Chiesa.

Le quattro preghiere che si recitano in questa prima parte del rito del battesimo sono quelle che nell’antichità si recitavano sui catecumeni in particolari momenti del loro corso di apprendimento della fede: nei primi secoli, questo cammino poteva durare molto tempo (fino a tre anni), e le preghiere si facevano a intervalli distanti tra loro. Oggi, le preghiere sono recitate una dopo l’altra in una singola occasione.

Il rito dei catecumeni ci presenta molte immagini di un cambiamento totale di vita, e comprende un certo numero di invocazioni di esorcismo. Oggi queste preghiere (soprattutto nel caso di bambini piccoli) ci possono sembrare esagerate, ma nel caso dei primi convertiti al cristianesimo da religioni pagane, il catecumenato segnava proprio il passaggio da credenze false, miste con elementi magici e demoniaci: si capisce perciò il desiderio di rompere del tutto con un passato pagano, e di incominciare una vita del tutto nuova al servizio dell’unico vero Dio.

Le preghiere di esorcismo sono accompagnate dal segno della croce e dal soffio del prete sulla fronte, la gola e il cuore del candidato: si chiede a Dio di allontanare ogni influenza del maligno dalla vita del nuovo cristiano, e di includerlo tra i membri del suo gregge spirituale, la santa Chiesa.

Alle preghiere segue una serie di domande, che ci ricordano l’esame fatto un tempo ai candidati adulti: si chiede per tre volte una rinuncia a satana e una dichiarazione di unione con Cristo. Alle richieste di rinuncia a satana, tutti si voltano verso le porte della chiesa, poste a occidente (il luogo simbolico delle tenebre, in cui muore la luce del giorno). Il gesto di rinuncia è sottolineato dalla richiesta di soffiare e sputare verso occidente. Alle richieste di unione con Cristo ci si volta verso oriente (il luogo dove nasce la luce del giorno, e dove è situato 1’altare della chiesa, in onore della luce di Cristo che si leva sul mondo intero). Tutti i gesti – le rinunce, i soffi e gli sputi, le dichiarazioni di unione – si ripetono tre volte, sia per sottolineare l’importanza di un impegno di tutta la vita, sia in onore al mistero della Trinità.

IL CREDO

Il candidato – se ha l’età per poter recitare una preghiera – oppure il suo padrino o madrina, legge il Credo (tradizionalmente per tre volte, ma nella pratica odierna spesso si legge una volta sola). Questa preghiera, detta anche Simbolo della Fede, è un riassunto delle più importanti verità della fede cristiana:

Credo in un solo Dio Padre, onnipotente, creatore del cielo e della terra, e di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, unigenito, generato dal Padre prima di tutti i secoli: luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre, per mezzo del quale tutto prese esistenza. Che per noi uomini e per la nostra salvezza discese dai cieli, e si incarnò dallo Spirito santo e da Maria Vergine, e si fece uomo. E fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, e soffrì, e fu sepolto. E risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture. E ascese ai cieli, e siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà con gloria a giudicare i vivi e i morti; il suo regno non avrà fine. E nello Spirito santo, il Signore, vivifico, che procede dal Padre, che con il Padre e il Figlio è insieme adorato e glorificato, che parlò per mezzo dei profeti. E nella Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo, per la remissione dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti. E la vita del secolo futuro. Amen.

Il testo del Credo è quello approvato, per tutta la Chiesa, dai due primi Concili ecumenici tenuti a Nicea e a Costantinopoli nel quarto secolo. Anche prima di quei concili, in tutto il mondo cristiano, erano in uso diverse formule di fede abbastanza simili, che riassumevano in poche frasi la fede in Dio Padre, nel Figlio e nello Spirito santo.

Per potere iniziare un percorso di vita nella Chiesa di Cristo, bisogna conoscere i fondamenti della fede. Ecco il valore di “esame” che ha il Credo: recitando il Credo, il candidato (o i suoi padrini se si tratta di un bambino) dà prova di avere imparato le verità cristiane fondamentali. La benedizione finale del prete dà allo stesso tempo il segno dell’approvazione della Chiesa a ricevere il suo nuovo membro: “benedetto Iddio, che vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità” (I Timoteo 2,4). Il cammino della vita nella Chiesa è cammino di salvezza, ma anche di conoscenza della verità.

Quando questo “esame” della dottrina cristiana è stato compiuto, si procede al luogo dove è stato preparato il fonte battesimale. Molte chiese antiche avevano accanto al loro ingresso un luogo dedicato apposta ai battesimi, con un fonte battesimale per immersione. Oggi nella maggior parte delle chiese ortodosse si usa un recipiente speciale in metallo per il battesimo dei bambini, ma in alcune si trova anche uno speciale battistero per gli adulti. La collocazione del battistero presso l’ingresso della Chiesa sottolinea il ruolo del battesimo come ingresso alla vita cristiana.

IL RITO DEL BATTESIMO

Il rito del santo Battesimo ha inizio con l’incensazione del fonte battesimale, seguita da tutte le preghiere della benedizione delle acque. Le preghiere e le formule per benedire l’acqua sono le stesse usate per fare l’acqua benedetta, ma in più vi sono preghiere per chi sta per essere battezzato. Una di queste è particolarmente interessante: “perché diventi partecipe della morte e della risurrezione di Cristo”. Questa preghiera ricorda che l’immersione e l’uscita dall’acqua – segni che rappresentano una morte e risurrezione – sono la nostra partecipazione alla morte e alla risurrezione del Signore.

Quando l’acqua è stata benedetta, il candidato al battesimo riceve una prima unzione simbolica con olio benedetto, che viene in parte versato anche nell’acqua del battesimo. Questa unzione con olio non è il sacramento della Cresima (unzione con il sacro Myron), ma è piuttosto un rito di preparazione al battesimo. La sua origine va cercata nel gesto piuttosto pratico di cospargere di olio il corpo dei candidati al battesimo, per metterli al sicuro dall’immersione in acqua fredda. Dobbiamo ricordare che il clima, soprattutto nei battesimi all’aperto, non è sempre favorevole, e l’unzione con l’olio è un’ottima protezione naturale. Alla funzione  di difesa dal freddo si è in seguito aggiunto tutto un simbolismo legato alla protezione divina (così come l’olio protegge il corpo, la grazia di Dio protegge la vita dei credenti), alla presenza di Dio nella nostra vita (così come l’olio penetra nella pelle divenendo una cosa sola con il nostro corpo, così la grazia di Dio diviene una cosa sola con la nostra vita), e alla lotta spirituale (così come gli atleti e i lottatori dell’antichità si cospargevano d’olio per scivolare alla presa degli avversari, così la grazia di Dio ci protegge dall’avversario dell’umanità).

Se un tempo si cospargeva d’olio tutto il corpo del candidato al battesimo, oggi non è più necessaria un’unzione totale, e i libri delle funzioni prevedono una semplice serie di piccoli segni di unzione, sulla fronte, sul petto e sulla schiena, sulle orecchie, sulle mani e sui piedi.

Quando il corpo del candidato è stato unto con l’olio, si procede all’immersione. Nella Chiesa Ortodossa, la formula battesimale è “Il servo di Dio … è battezzato (oppure: “La serva di Dio … è battezzata”) nel nome del Padre (prima immersione) e del Figlio (seconda immersione) e del santo Spirito (terza immersione)”. Le tre immersioni, nel nome delle persone della santa Trinità, riassumono la nostra fede in un Dio al tempo stesso trino e uno. Si noti che la formula battesimale in prima persona, “io ti battezzo…”, usata nelle chiese cattoliche e protestanti, è una variante tardo-medioevale che non è mai stata adottata dalla Chiesa ortodossa.

I nuovi battezzati, appena asciugati dall’acqua, sono rivestiti di un abito nuovo, che indica la nuova vita in Cristo che inizia da questo momento. L’abito può essere una veste rituale (in alcune chiese si preparano per questo scopo tuniche bianche su misura), oppure un semplice vestito pulito: si usa di preferenza il colore bianco, che indica anche il “rivestirsi di Cristo” di cui parla san Paolo in Galati 3,27.

I bambini piccoli, per essere mantenuti più tranquilli, possono ricevere l’abito nuovo senza essere rivestiti subito: in tal caso, mentre sono ancora avvolti in teli o asciugamani, il prete poggia sopra di loro l’abito dicendo: “Il servo di Dio … è rivestito della tunica della giustizia e della verità, nel nome del Padre, e del Figlio, e del santo Spirito”; i bambini potranno essere rivestiti con l’abito nuovo prima di uscire dalla chiesa.

Assieme all’abito nuovo il neobattezzato riceve una croce da portare al collo, che talvolta, secondo gli usi, si benedice immergendola nella stessa acqua del battesimo.

IL RITO DELLA CRESIMA

Subito dopo il battesimo, nel corso della stessa funzione, segue il secondo mistero dell’iniziazione cristiana: la Cresima, o unzione con il santo Myron (in slavonico Miropomazanie, in romeno Mirungerea). Il Crisma o Myron è un olio piuttosto speciale, ottenuto mescolando decine di sostanze aromatiche a una base di olio d’oliva. Tradizionalmente, la preparazione e la consacrazione del Myron è riservata al patriarca, o al capo di una Chiesa ortodossa autocefala.

L’unzione con il santo Myron è il segno del dono dello Spirito santo, come si dice nelle parole che accompagnano l’unzione: “Sigillo del dono dello Spirito santo”. I punti su cui si fa l’unzione con il Myron sono gli stessi su cui si è fatta l’unzione pre-battesimale, con l’aggiunta degli occhi, le narici e le labbra, a indicare la disponibilità di tutti i nostri sensi a ricevere lo Spirito divino.

Nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli il dono dello Spirito santo è testimoniato attraverso gesti differenti: il soffio (come fa Gesù sugli apostoli in Giovanni 20, 22) e l’imposizione delle mani (come fanno gli apostoli in Atti 8, 17 e 19, 6); oggi queste modalità non sono più in uso (ma si usano talvolta in caso di persecuzioni, quando non è possibile avere accesso al santo Myron). L’uso del Myron è testimoniato nel periodo degli apostoli, e questo fa pensare a un’istruzione diretta di Gesù, verosimilmente presa dalle unzioni rituali della tradizione ebraica.

L’unzione con il santo Myron completa la grazia del battesimo, donando al nuovo cristiano un intervento diretto nella sua vita della terza persona della Santa Trinità. Noi chiamiamo la cresima – così come il battesimo – “mistero”, perché la grazia che ci è donata attraverso questi segni sfugge a ogni nostro tentativo di spiegazione, e se Gesù stesso non ha voluto lasciarne ai suoi apostoli una spiegazione completa, possiamo essere sicuri che gli effetti del battesimo e della cresima agiscono su di noi quale che sia il nostro livello di comprensione umana.

Il cristiano battezzato e cresimato è membro della Chiesa a tutti gli effetti: la “nuova nascita” alla vita della Chiesa dà immediatamente accesso alla santa Comunione, che come nutrimento spirituale può essere ricevuto anche dai bambini.

COMPLETAMENTO DEL RITO

Una volta terminate le unzioni si compie una piccola processione intorno al fonte battesimale: il prete conduce il neobattezzato e i padrini, che girano per tre volte intorno al fonte battesimale cantando la frase di San Paolo: “Quanti in Cristo siete stati battezzati, di Cristo vi siete rivestiti” (Galati 3, 27). Questa era la frase che si cantava nei primi secoli quando i neobattezzati adulti – spesso in gran numero, rivestiti della veste battesimale – entravano dopo il battesimo nella navata della chiesa a ricevere la comunione.

Si procede con le letture, dalla Lettera di San Paolo ai Romani e dal Vangelo secondo Matteo. Il brano di San Paolo (Romani 6, 3-10) sottolinea l’aspetto del battesimo come morte simbolica che ci rende partecipi della risurrezione di Cristo; il passo di Matteo (28, 16-20) ricorda la missione degli apostoli riguardo al battesimo. Vediamo di scomporre questa missione nei suoi tre elementi:

1 – ammaestrate tutte le nazioni
2 –  battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e del santo Spirito
3 – insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato

Il punto 1 ci ricorda l’importanza della catechesi; un battesimo senza un’istruzione preliminare (come quella che cerchiamo di fare in questo testo) è un battesimo senza basi, che presto scade nella routine di un passaggio obbligatorio. Anche nel caso dei bambini, la formazione deveessere data a genitori e padrini.
Sul punto 2 non c’è molto da rimproverare alla tradizione ortodossa, che ha mantenuto il comando del Signore con molto scrupolo.
Il punto 3 ci ricorda come l’istruzione non finisca con il battesimo: anzi, da questo punto bisogna insegnare a “osservare tutto ciò che il Signore ci ha comandato”, o in altre parole, a “vivere una vita cristiana”. Il rito del battesimo ci fa membri della Chiesa, e come prima cosa dobbiamo impegnarci a frequentarla. Un nuovo battezzato che non frequenta la Chiesa è una totale assurdità, come un iscritto a una scuola che non frequenta le lezioni.

Il rito termina con due azioni simboliche, l’abluzione e la tonsura. Si ripuliscono i punti su cui è stato passato il santo Myron, come forma di rispetto per una sostanza consacrata. Anticamente era in uso che i battezzati adulti rimanessero alcuni giorni in chiesa a pregare, e in questo caso le abluzioni si facevano al momento in cui uscivano dalla chiesa (tipicamente all’ottavo giorno); anche ai bambini piccoli era applicata la stessa regola, facendoli entrare in chiesa all’ottavo giorno per le abluzioni. Oggi si considera altrettanto normale fare le abluzioni al termine del rito battesimale.

La tonsura dei capelli del battezzato è un segno simbolico di un dono di gratitudine, per sigillare l’inizio di un impegno di vita cristiana. Il dono dei capelli riassume in sé diversi valori: è economicamente irrilevante (a Dio non si può donare niente che non sia già suo), fa parte del nostro corpo (è un dono nostro, e non di altri), non è un sacrificio di sangue o doloroso (Cristo ha segnato la fine della mentalità sacrificale cruenta dell’Antico Testamento). È un buon simbolo per un dono di inizio che ci dia il senso che noi dobbiamo donare noi stessi con libertà, in un modo che non implica dolore. Con questo gesto, e la benedizione finale, si conclude il rito ortodosso del battesimo.

LA COMUNIONE

I nuovi battezzati vengono introdotti in chiesa: il prete li porta all’iconostasi, e se il battezzato è maschio, anche all’interno del santuario, come segno della possibilità di ricevere il sacerdozio ministeriale. Il rito dell’Ingresso in chiesa (in slavonico Vocerkovlenije, in romeno Îmbisericire) era stato spostato, così come le abluzioni, a un giorno successivo al battesimo, ma nella pratica attuale si fa subito dopo la fine del rito battesimale.

Dovrebbe seguire immediatamente la santa Comunione, ma spesso si celebrano i battesimi in giorni in cui non c’è in chiesa la Divina Liturgia. Se il nuovo battezzato ha gravi problemi di salute, può ricevere la comunione dalla riserva per i malati; tuttavia, si preferisce che la prima comunione sia fatta nel corso della Liturgia, per sottolineare l’aspetto comunitario dei misteri cristiani. Nel caso dei bambini, è responsabilità dei genitori e dei padrini di portare i nuovi battezzati alla comunione il più presto possibile… e di non smettere di frequentare la chiesa a partire da questo punto!

Nella Chiesa ortodossa i primi ad andare a fare la comunione sono proprio i bambini; la pratica frequente della comunione ai bambini ha un senso perché quando (generalmente nell’adolescenza) si abbandona la pratica della vita religiosa resta il ricordo molto intenso di quelle comunioni fatte da bambini e molto spesso è proprio questo lo stimolo per tornare in chiesa.

LE PREGHIERE DEI 40 GIORNI

Secondo l’antica tradizione ebraica, a cui si era sottoposta anche la Madre di Dio dopo la nascita di Gesù (Luca 2, 22) la Chiesa ortodossa chiede alle madri che hanno partorito di non venire in chiesa fino a 40 giorni dopo il parto. A quel punto, la madre entra in chiesa con il bambino appena nato e dopo una preghiera speciale viene riammessa alla vita della chiesa.

Questa usanza, che è comune anche alla tradizione di popoli pagani, è una misura di rispetto per una madre che si trova indebolita dal parto. Mentre 40 giorni potevano essere un “periodo di sicurezza” in società meno avanzate dal punto di vista medico, oggi si può tranquillamente ritenere eccessivo nel caso di parti effettuati in ospedale con una buona assistenza medica. Perciò, se i medici ritengono che la mamma sia fuori pericolo e possa andare dove vuole anche prima del quarantesimo giorno, si possono tranquillamente fare le preghiere di ingresso in chiesa, anche in anticipo.

Tipicamente l’esclusione della madre dalla chiesa porta i genitori ad attendere un poco prima di battezzare il bambino (e questo non è un male, perché anche il bambino è traumatizzato dal parto, così come la mamma), oppure a fare il battesimo in assenza della madre (cosa che può essere difficile da sopportare per il bambino, che ha un legame speciale di fiducia con la madre).

La cosa più importante da ricordare è che, finiti i 40 giorni, la mamma è chiamata a tornare in chiesa: il periodo di riposo concesso dopo il parto non deve essere usato come una scusa per continuare a non frequentare le funzioni. Sarà proprio dalla madre e dalla sua attitudine che un nuovo cristiano imparerà le prime, elementari nozioni della vita nella chiesa.